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Sommario

 

INTRODUZIONE. 4

CAPITOLO 1 - Presupposti teorici della ricerca. 5

1.1 Il passaggio dalla modernità alla post modernità: una lettura antropologica dell’avvento della società dei consumi. 5

1.2 Cittadinanza e il nodo della rappresentanza. 13

1.3 La progettazione sociale tra mappe e territorio. 20

CAPITOLO 2 -  Analisi del Contesto. 28

2.1 Città nella Città. 28

2.2 Analisi dei dati secondari 33

2.2.1.  Reti economiche. 33

2.2.2. Diritto alla salute. 36

2.2.3. Reti lavorative. 38

CONCLUSIONI 41

Bibliografia. 43

Appendice. 49

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Il lavoro presentato con questa ricerca è il frutto di un lavoro corale a più mani dei discenti del Master in Progettazione Sociale e Gestione del Territorio e risente dell’impostazione teorica, epistemologica e metodologica appresa durante le lezioni teorica del Master.

La ricerca si sofferma sul territorio del X Municipio della città di Roma e tenta di analizzare e di comprendere le dinamiche e le reti formali ed informali degli immigrati al fine di costruire i presupposti di “conoscenza”, nell’accezione teorica del master,  per una progettazione così come definita nel primo capitolo di questo lavoro.

Nello specifico, la parte di mia competenza, sviluppata nella seguente tesina, vuole analizzare i cosiddetti dati secondari (quantitativo – statistici) che come, diffusamente, chiarito nel primo capitolo non sono assolutamente sufficienti per dire di conoscere il territorio nell’accezione teorica del presente lavoro di ricerca.

Ciò è vero in assoluto e lo è ancora di più, nel nostro caso, dove si assiste ad un assoluta carenza di dati secondari e si ricorre per lo più ad analizzare quelli aggregati del comune, della provincia romana o addirittura dell’intero territorio regionale.

 

 

CAPITOLO 1 - Presupposti teorici della ricerca

 

1.1 Il passaggio dalla modernità alla post modernità: una lettura antropologica dell’avvento della società dei consumi.

 

Il disegno della presente ricerca viene inquadrato all'interno del più vasto panorama teorico della letteratura riguardante la modernità, la postmodernità e la fase di passaggio dalla prima alla seconda che ha costituito il momento di svolta per l’intero panorama delle scienze sociali, costrette a confrontarsi con la realtà della società contemporanea.

L’antropologia culturale ha superato la categorizzazione bipolare società moderna occidentale / società semplice (o primitiva) extra-occidentale e la connessa distinzione culture complesse / culture tradizionali che era propria della sua fase evoluzionista. «Oggi i processi di acculturazione e in genere di mutamento sempre più profondo e rapido, le migrazioni, le mescolanze etniche e culturali su scala planetaria, le dinamiche socio-economiche con i loro corollari sul piano culturale, hanno tolto quasi del tutto ogni consistenza ai vecchi presupposti valutativi, che pretendevano sceverare […] culture semplici da culture complesse»[1]. Non si ragiona più in termini di categorie, che vengono per lo più superate (la religione è una delle pochissime superstiti) ma confrontandosi con l’individuo altro. Vincent Crapanzano descrive l’incontro etnografico come «una complessa contrattazione nella quale i partecipanti tacitamente concordano una realtà di riferimento. Questa realtà non appartiene […] a nessuna delle parti in causa»[2]. L’approccio di lavoro proposto e le teorizzazioni che ne deriveranno segneranno il passaggio dalla società complicata alla società complessa per quello che concerne gli studi antropologici.

L’odierna società postmoderna è complessa in quanto figlia di un sistema non di tipo causale, espressione della “modernità” imperniata sulla conoscenza oggettiva del mondo, bensì di tipo casuale che è imperniato su due fattori: l’imprevedibilità e la velocità dei cambiamenti sia sincronici che diacronici. «Le società complesse interessano quasi la totalità delle società esistenti»[3]  che si caratterizzano per la loro instabilità causata dalla presenza di un enorme numero di variabili che non sono né controllabili né prevedibili.

Finisce quindi la pretesa di dare un senso univoco e definitivo alla realtà che si definisce piuttosto in termini di differenza e molteplicità e in cui le differenze servono a determinare la propria diversità e, al contempo, la propria identità. Ne consegue che l’odierna società è molto frammentata anche a livello esistenziale, il che produce quello che Vattimo ha definito «complessivo effetto di “spaesamento” che accompagna il primo effetto di identificazione»[4] e si deve confrontare con la tendenza, di segno opposto, rappresentata dall’internalizzazione del consumo, delle informazioni e della produzione.

Nel libro “Antropologia come critica culturale”[5] gli antropologi Fisher e Marcus mostrano l’evoluzione dell’approccio utilizzato dalle discipline umanistiche e scienze sociali che producono lo sforzo di fornire le loro rappresentazioni partendo dall’interno e valorizzando le differenze e le diversità di fronte alla più ampia consapevolezza di una crescente omologazione del mondo.           

Il linguista e antropologo americano Edward Sapir nella sua analisi antropologica evidenzia la contrapposizione tra culture che definisce genuine e quelle spurie. La cultura genuina è quella in cui vi è armonia tra i bisogni della società e quelli dei propri singoli membri e in cui «le attività principali di un individuo devono soddisfare direttamente i suoi impulsi creativi e emotivi»[6]. Viceversa la società spuria è potenzialmente efficiente dal punto di vista economico ma incapace di esprimere una cultura genuina rispondente in modo organico alle aspirazioni degli individui che hanno smarrito la “spiritualità” nel proprio agire.

Oggi risulta sempre più difficile riuscire a rilevare un nesso stabile e coerente tra bisogno e soddisfacimento dello stesso e l’incertezza che ne deriva distingue gran parte delle società contemporanee caratterizzate da rapporti di tipo spurio, ossia casuale, nelle relazioni “bisogno-soddisfacimento” e che, quindi, non sono più indagabili con gli strumenti tradizionali.

Questa nuova condizione della società viene analizzata nell’opera di Bauman “Modernità liquida”, termine che ha assunto valore di neologismo e indica «una concezione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile». 

La globalizzazione rompe i vincoli spazio-temporali, trasformando le relazioni economiche, sociali, produttive ed esistenziali ed inaugura l'avvento della società dei consumi, spazio virtualizzato in cui il luogo di produzione e di consumo non coincidono e in cui «capitale e conoscenza si sono entrambi emancipati dalla loro dimensione locale. La collocazione geografica dei loro possessori conta poco ora che il 90% delle transazioni finanziarie che producono ricchezza non è più vincolato al movimento delle merci materiali e ora che la circolazione delle informazioni avviene per lo più entro i confini del cyberspazio»[7]. Robertson ha coniato il termine “glocalizzazione” per sottolineare una peculiarità del  mondo contemporaneo nel quale la tendenza alla globalizzazione, del capitale e dell’informazione, agisce in modo correlato, e in evidente contraddizione, con la tendenza alla localizzazione in cui è arroccata la politica. Dunque «il potere, in quanto incarnazione della circolazione mondiale di capitali e informazioni, diventa sempre più extraterritoriale, mentre le istituzioni politiche esistenti continuano ad avere un carattere prettamente locale. Ciò porta inevitabilmente a una progressiva perdita di potere dello Stato nazionale che ha smesso di controllare i processi d’integrazione sociale»[8]. Quest’ultimo compito, elemento distintivo e cardine dello Stato moderno, viene delegato ad altri soggetti che agiscono, spesso, potendo godere di larga autonomia e in qualche modo incontrollati.

            La postmodernità e la globalizzazione hanno innescato un processo di estraneazione dal territorio che è il principale responsabile della marginalità sociale. Il processo di marginalizzazione sociale ha perso la sua accezione culturale e non è più collegato all’occupazione bensì è diventato una condizione spontanea nella quale il lavoro non è più la discriminante di uno status sociale che, a sua volta, non è più collegabile in modo stringente al consumo. Se il reddito da lavoro non è più la garanzia di uno status sociale cala la fiducia nell’attività lavorativa, sempre più caratterizzata da precarietà e flessibilità, che diventa semplicemente uno dei tanti fattori (insieme al possesso o meno di una casa di proprietà, alla presenza o meno di forme di addebitamento come gli assegni di mantenimento per l’ex moglie, ecc..) che determinano la propria posizione nella società e le condizioni in cui poter vivere il territorio.

Analizziamo dunque il rapporto che intercorre tra status, lavoro e consumo per formulare delle considerazioni aggiuntive sulla dimensione dell’esclusione sociale. Prima dell’avvento della globalizzazione e della postmodernità il sistema si riproduceva grazie al ruolo centrale per la vita individuale e collettiva svolto dal lavoro in quella che, in epoca industriale, si definiva “società dei produttori”. Il passaggio alla “società dei consumi” e quindi l’avvento del consumatore ha condannato il lavoro a cedere la propria funzione di integrazione sociale al consumo sacrificando così la sua connotazione etica ed appropriandosi di una dimensione puramente estetica.

Il rischio insito nella società contemporanea, fa notare Bauman[9], non si limita alla produzione di forme di povertà classiche, quali l’indigenza economica e materiale o la sofferenza fisica, ma si moltiplicano anche situazioni di miseria dovute a condizioni sociali e psicologiche critiche. «Dietro la crescita del mercato e di burocrazie c’è un declino della comunità e di quel valore individuale del sé di cui la salute mentale non può fare a meno»[10]. Queste forme moderne di povertà ed emarginazione sono possibili effetti collaterali dell’incapacità di consumo che, nella società contemporanea, è considerata una grave colpa.

Oggi, maggiormente che nel passato, il rischio di esclusione sociale, ossia l’impossibilità materiale di poter usufruire delle risorse, è molto sviluppato e produce una marginalità urbana che assume forme diverse coinvolgendo differenti personalità: dall’immigrato irregolare al soggetto affetto da dipendenza, dal disoccupato al psichiatrico. Il processo di esclusione, che accelera nelle fasi di congiuntura economica negativa come quella attuale, e lo scollamento dal territorio, per effetto di processi di globalizzazione e dell’inadeguatezza delle istituzioni, rende i cittadini sostituibili e potenzialmente marginali. La marginalità è il riflesso della diseguaglianza sociale che, generalmente, è progressivamente aumentata negli ultimi decenni e che può essere letta come una degenerazione dovuta all’indebolimento dei valori e delle norme comuni.

Nella sua evoluzione la società ha quindi sacrificato, insieme al lavoro, l’obiettivo vitale dell’integrazione sociale per approdare ad una fase, senza ordine né ideologie, nella quale l’esistenza sociale perde la sua connotazione oggettiva. Secondo Giddens, che rifiuta il termine postmoderno e parla di profonda radicalizzazione nella modernità della società contemporanea, «il sapere gelosamente custodito è ora sostituito dal sapere degli esperti che dovrebbero fornire sempre maggiori certezze sul mondo, ma la stessa condizione di tale certezza, è il dubbio»[11]. Le certezze vengono dunque sostituite dal dubbio così come il rischio prende il posto della riproduzione dell’ordine. La paura e la percezione del pericolo in una realtà così complessa e virtualizzata ha sviluppi imprevedibili. Nella società contemporanea “l’altro” o “il diverso" (considerato il tema di questo testo possiamo far riferimento allo straniero) continua a rappresentare un rischio. Questa “visione” rappresenta un ostacolo nel percorso di integrazione sociale e, molte volte, genera forme di autoesclusione: il territorio perde la sua dimensione originaria, al suo interno si sviluppano molti confini immaginari al cui interno, più o meno volontariamente, ci si rifugia per un bisogno di sicurezza o di appartenenza come esiliati inconsapevoli.

Touraine, in questo panorama, denuncia «l’assenza del principio centrale di costruzione della vita sociale: l’utilità sociale, la razionalizzazione e la lotta di classe»[12] e, nell’affermare il fallimento del postmodernismo in funzione delle realtà sociali, aggiunge che «se accettiamo senza riserve il declino della politica non resterà che il mercato a regolare la vita collettiva»[13].

La società complessa sembra quindi aver cancellato molte certezze e punti di riferimento producendo un forte senso di smarrimento e un generale senso di insicurezza nelle persone. Il fenomeno della povertà e della marginalità va intesa dunque in un duplice aspetto: quello prettamente economico legato ai consumi e quello socio-psicologico legato a nuove forme di ansia e di paure collettive. La società contemporanea produce e riproduce situazioni di marginalità che si manifestano in termini di povertà economica, disoccupazione, abitazioni inadeguate, violenza, discriminazione etnica e sociale. Su questo scenario incide la perdita dei legami interpersonali, che rappresentavano una risorsa importante per contrastare questi fenomeni, e si intrecciano storie di uomini che vivono ai margini della società. L’”uomo marginale” per eccellenza «è lo straniero che rappresenta un uomo al margine di due culture e di due società, che non sono mai completamente compenetrate e fuse»[14].      

Alla luce di tutte queste considerazioni appare evidente l’importanza di una riconciliazione col territorio sia da parte delle istituzioni sia da parte della cosiddetta società civile per ristabilire i legami sociali. Infatti questa “distanza”, sviluppatasi in modo progressivo negli ultimi anni, nasconde numerose insidie, per le cause illustrate precedentemente, e rischia di accelerare il preoccupante fenomeno dell’esclusione sociale.

 

1.2 Cittadinanza e il nodo della rappresentanza

 

L'assenza di confini certi del territorio e la suddetta distanza tra istituzioni e società civile apre un ragionamento complesso sul rapporto tra legittimazione, consenso e controllo sociale, in una relazione circolare e ricorsiva che spiega spesso la presenza o assenza di risposte a bisogni espressi o sommersi della popolazione che abita un determinato territorio.

La mancanza di confini definiti nella città contemporanea, l'assenza di centro e periferia, rende anche il concetto di cittadinanza sempre più fluido e sfuggente e dipendente dalle relazioni che si sviluppano all'interno della città, ovvero dalla possibilità di usufruire di servizi e di esercitare diritti (diritto alla casa, diritto agli spostamenti, diritto ad usufruire di servizi sociali e culturali).

La virtualizzazione progressiva della relazioni, iniziata già dagli anni '80, ci restituisce uno scenario dove sono gli stessi flussi comunicativi a cambiare le città e dove le categorie economiche governano gli spazi e le relazioni.

Benjamin[15] a tal proposito parla di “liberazione di uno sguardo” ovvero il venir meno dell'ordine degli sguardi nelle città contemporanee, a partire dagli anni ’80 con lo sviluppo di città multiculturali ed informatiche.

Lynch[16] a fine anni '80 individua come strumento di costruzione delle mappe urbane il vedere come la gente immagina la città. L'autore sostiene che le persone nei contesti urbani si orientano per mezzo di mappe mentali. Egli analizza tre città americane (Boston, Jersey City e Los Angeles) e guarda come le persone vi si orientano. Un concetto centrale è quello di leggibilità (anche chiamata figurabilità). Leggibilità esprime la misura in cui il paesaggio urbano può essere letto. Le persone che si muovono per la città ingaggiano un processo di individuazione del percorso. Hanno bisogno di essere in grado di riconoscere e organizzare degli elementi urbani in un modello coerente. Nel processo di individuazione del percorso, il collegamento strategico è l’immagine ambientale, l’immagine mentale generalizzata nel mondo fisico esterno che è posseduta da un individuo. Questa immagine è il prodotto sia di una sensazione immediata che il ricordo delle esperienze passate, ed è utilizzato per interpretare le informazioni e per orientare l’azione. L’illeggibilità della metropoli e l’intrico dei suoi elementi spaziali compromettono la percezione della città.

L’aumentata complessità spaziale sociale e culturale del tessuto urbano, a partire dal XX secolo, insieme alla velocità dei mezzi per attraversarlo ha sollevato parecchi problemi nuovi per la percezione.

            Lynch nota come risultino compromesse funzioni da sempre vitali per l’uomo, come l’identificazione dei luoghi, l’orientamento, la costruzione di una relazione individuo-spazio emotivamente sicura, la creazione di simboli comuni che legano il gruppo e permettono ai suoi membri di comunicare l’un l’altro.

In questa dimensione complessa, in cui ogni persona circola tra realtà differenti (contesto biografico, socio-politico, universo culturale, istituzioni, realtà quotidiana) si può generare quella che Farmer[17] definisce Violenza strutturale, ovvero la violenza come processo in cui le vittime occupano il posto più basso della scala sociale in società non egualitarie. Farmer invita ad analizzare i meccanismi sociali dell'oppressione che “sono tanto peccaminosi quanto apparentemente colpa di nessuno”.

La violenza strutturale è da lui definita come quella particolare violenza esercitata in modo indiretto, ovvero prodotta dall'organizzazione sociale stessa e dalle sue disuguaglianze e frutto di processi storici, politici ed economici. Tale violenza si esplica attraverso la limitazione della capacità di azione di soggetti che occupano la posizione più marginale in contesti segnati da profonde disuguaglianze sociali.

Anche Bauman facendo riferimento alla stratificata società dei consumi, dirà che «tutti noi siamo condannati ad una vita di scelte, ma non tutti abbiamo i mezzi per scegliere»[18].

Tale discorso è ancora più vero e drammatico se prendiamo in considerazione una delle categorie più marginali dei contesti urbani contemporanei, in particolare italiani e nello specifico del territorio di Roma che è oggetto di questa ricerca, ovvero l'immigrato.

Un’illustre studioso della condizione di sofferenza e ambiguità che caratterizza l’esperienza della migrazione “in generale” è Abdelmalek Sayad, il quale, considerato come “fondatore della scienza delle migrazioni”, ha ridefinito la condizione di ambiguità e ibridità a cui è costretto il migrante che, in quanto contemporaneamente immigrato ed emigrato, non è cittadino di pieno diritto né nella società di provenienza né in quella di approdo[19]; e così facendo ha ripreso il concetto di “erranza”  e rivisitato il fenomeno migratorio che la maggior parte delle scienze sociali è stata incapace di analizzare sotto il suo insito duplice profilo di immigrazione-emigrazione, soffermandosi solo sul primo lato della medaglia, in modo nettamente parziale ed etnocentrico. Oltre la  «questione apparentemente tecnica viene posto oggettivamente l'intero problema della legittimità dell'immigrazione, problema che tormenta tutti i discorsi di natura analoga. Non c'è pressoché alcun discorso sugli immigrati e sulla funzione dell'immigrazione, soprattutto quando è svolto esplicitamente e scientemente, come nel caso della "teoria economica dei costi e dei profitti comparati dell'immigrazione", che non consista ora nel legittimare ora nel denunciare l'illegittimità fondamentale dell'immigrazione»[20].

Bauman[21] è tra gli studiosi che hanno incentrato la propria riflessione sullo “straniero” come figura ambigua e “inclassificabile”, in quanto non compresa all’interno delle tradizionali opposizioni binarie tra amici- nemici (trasposizione a sua volta della dialettica tra interno- esterno), separazioni “asimmetriche”, dal momento in cui l’opposizione è il prodotto e la condizione del dominio narrativo degli amici e della narrativa degli amici come dominio. Lo straniero, invece, è portatore di una minaccia più pericolosa di quella del nemico, perché minaccia l’associazione stessa e, dato che l’opposizione è il fondamento su cui si basano la vita sociale e  le differenze che ne sono parte e la conservano, lo straniero mina le fondamenta della vita sociale stessa. E tutto questo perché lo straniero non è né un amico né un nemico: potrebbe essere entrambi. La sotto determinazione degli stranieri stessi è la loro potenza: poiché non sono niente essi potrebbero essere tutto. Essi mettono fine all’ordine del potere dell’opposizione. «Gli stranieri […] sono principalmente indefinibili. Sono quel “terzo elemento” che non ci dovrebbe essere. I veri ibridi, i mostri: non proprio inclassificati ma inclassificabili»[22].

Ne La società dell’incertezza Bauman associa la condizione generalizzata di incertezza che caratterizza l’assetto societario dal punto di vista strutturale, politico, economico, al carattere sempre più provvisorio che vanno assumendo le relazioni sociali e la stessa identità individuale, definita come “identità a palinsesto”[23], in quanto si configura come graduale assunzione di maschere sempre cangianti che ridefiniscono in modo fluttuante una personalità fragile e provvisoria, manifestazione più ovvia e immediata della nuova “libertà” che caratterizza la società postmoderna. Il principio di realtà su cui si fondava la società moderna viene, infatti, soppiantato dal principio del piacere e libertà, che si traduce però in un’assenza di punti di riferimento stabili su cui costruire i propri percorsi esistenziali ed identitari, e in corrispettiva nell’aumento dell’incertezza.

In questa condizione di precarietà, anonimato, solitudine del cittadino delle metropoli post-moderne, lo straniero diventa un essere trasparente, invisibile, privo di specificità particolari. Ed è proprio qui che si manifesta il suo carattere più ambivalente: se da un lato, infatti, lo straniero, al pari degli altri cittadini, recita nell’anonimato la sua parte “invisibile” di uomo alla ricerca di opportunità in cui esercitare la propria libertà, dall’altra diviene visibile e desta curiosità in quanto portatore di “differenza” e, quindi, esemplificazione di una possibilità reale di uscire dalla monotonia e di sperimentare forme di esistenza innovative e originali. Anche se, sottolinea Bauman, questa diversità è ambivalente essa stessa, in quanto sia risorsa, perché spinta al mutamento, che “condanna”, perché suscita un senso di minaccia e pericolo suscettibile di contaminare quel poco di certezza rimasta nella società, generando quindi sentimenti contrastanti di timore-curiosità, rifiuto-attrazione.

All'interno di queste dinamiche relazioni e di esercizio di potere e consenso, si sviluppa la cittadinanza.

Il nodo della rappresentanza indica il gap che si viene a creare tra cittadini/interessi rappresentati e attori/organismi rappresentanti. L'aspetto importante all'interno di queste dinamiche, infatti, non è tanto la rappresentanza, che indica un concetto generale, quanto il concetto operativo di rilevanza di un attore sociale nei processi di partecipazione democratica, ovvero la sua capacità di avere peso nel policy making.

I rapporti di forza politici vengono rispecchiati nel triangolo che si crea tra legittimazione-consenso e controllo sociale. Se da un lato, infatti, l'istituzione legittima il cittadino, in corrispondenza questi darà il suo consenso all'istituzione stessa, che esercita così un controllo sociale sulla medesima popolazione. Da questa dialettica complessa si sviluppa poi la governance.

Il meccanismo della governance che comprende al suo interno diversi livelli (istituzioni, terzo settore) cerca di rimediare al gap tra cittadini e interessi rappresentati e attori/organismi rappresentanti.

Lavorare sulla costruzione di un’ “Integrazione civica” significa avviare un processo di socializzazione alla cittadinanza attraverso la partecipazione a forme di cittadinanza attiva e quindi alla presenza nei processi di policy making al fine di tutelare diritti, curare beni comuni e rafforzare soggetti in difficoltà.

 

1.3 La progettazione sociale tra mappe e territorio.

Nell’avviarsi alle conclusioni di questa parte introduttiva si rende necessario riprendere due concetti sopra espressi per analizzare il contesto in cui si trova a lavorare chi fa progettazione sociale in un territorio urbano.

Non solo, abbiamo detto, ci troviamo di fronte a un territorio sempre più “liquido”, i cui cambiamenti si susseguono rapidamente e in maniera imprevedibile, ma, a causa di un rapporto sempre più virtuale delle persone con il proprio territorio, è inoltre aumentato oggi il rischio di cadere nella marginalità sociale, di essere esclusi dalla comunità e di perdere la possibilità di agire sulla realtà.

In questo contesto allora, fare progettazione sociale significa operare per ridurre queste marginalità e per ridistribuire il rischio di cadervi, ma significa farlo in un territorio in costante mutamento, dove spazi e relazioni sono continuamente rinegoziati e dove ad agire sono inevitabilmente relazioni di potere e gerarchie di valore.

Progettare e gestire un territorio è infatti compito delle Istituzioni e rientra nel sistema di consenso da queste messo in atto, ne è riproduzione di fatto e si inserisce in quel triangolo ricorsivo, di cui si parlava sopra, che genera forme di controllo sociale. Attraverso l’erogazione di bandi e la realizzazione di progetti le Istituzioni offrono legittimazione e ottengono il consenso di quella parte di società civile che di volta in volta risulta come destinataria delle sue attenzioni.

        Progettare un territorio vuol dire agire politicamente su di esso ed inserirsi nelle dinamiche di delega e rappresentanza, consenso e legittimazione che caratterizzano le relazioni tra chi governa e chi abita una città.

Emerge, allora, la figura del progettatore sociale[24] come mediatore tra le istanze delle Istituzioni e quelle della società civile, impegnato a favorire l'incontro tra le prime e i bisogni dei cittadini, anche, o soprattutto, di quelli che, trovandosi in una condizione di marginalità tenderanno a non esprimere i propri bisogni, a lasciarli sommersi.

Presupposto della progettazione è dunque innanzitutto una conoscenza tanto del territorio e delle relazioni di forza che lo attraversano, quanto di quelle istanze che il progettatore si troverà a mediare.

 

Ma come fare a conoscere un territorio che abbiamo detto essere di per sé incerto e mutevole?

 

Una volta abbandonata, con il passaggio alla post-modernità, la pretesa di dare un significato univoco alla realtà, di considerare l’Universo come Uni –Verso [25], “l’epistemologia della certezza” ha lasciato il posto “all’epistemologia del dubbio”[26]. Ad essere messa in discussione è stata la conoscenza ontologica, ovvero la possibilità stessa di conoscere l’oggetto osservato, e l’idea conseguente che l’osservazione che si fa sia l’unica possibile.

 Il ricercatore non potrà mai conoscere il territorio allora, ma solo formularne una mappa, consapevole del fatto che la sua sarà solo una delle infinite possibili interpretazioni e rappresentazioni di quel territorio e che ogni mappa precederà sempre nel tempo il territorio, che nel momento in cui viene rappresentato è già di nuovo mutato secondo variabili casuali.

 La mappa è il territorio, sostiene Bateson[27] . Nell’indagare i processi mentali che portano alla conoscenza, l’antropologo americano sostiene che costruire mappe è l’unico strumento che il ricercatore ha a disposizione per conoscere il territorio, per farsene un’idea per approssimazione. Essendo dunque l’unico oggetto conoscibile, la mappa coincide con il territorio.

Entriamo infatti nel campo dell’epistemologia e la mappa che il ricercatore produce non comunicherà mai il territorio in sé, quanto la relazione che instaura con esso, l’esperienza che ne fa e che sola può trasformarsi in conoscenza.

Ma cosa possiamo conoscere allora di un territorio?

 

Quali sono le parti del territorio che sono riportate sulla mappa?. Sappiamo che il territorio non si trasferisce sulla mappa: questo è il punto centrale su cui siamo tutti d’accordo. Ora, se il territorio fosse uniforme, nulla verrebbe riportato sulla mappa se non i suoi confini, che sono i punti ove la sua uniformità cessa di contro a una più vasta matrice. Ciò che si trasferisce sulla mappa, di fatto, è la differenza […]. [28]

 

Il ricercatore di fatto non può che procedere per negazioni, costruendo delle euristiche, ed annotando sulla sua mappa la distanza tra ciò che non è la realtà e ciò che potrebbe essere, rintracciando informazioni a partire dagli “errori”, dalle differenze e dai mutamenti.

 

[…] la percezione opera solo sulla differenza. Ricevere informazioni vuol dire sempre e necessariamente ricevere notizie di differenza, e la percezione della differenza è sempre limitata da una soglia. Le differenze troppo lievi o presentate troppo lentamente non sono percettibili: non offrono alimento alla percezione.[29]

 

Ecco perché affidarsi ai dati quantitativo-statistici della ricerca sociologica non può essere sufficiente, ma è invece necessario servirsi di dati qualitativi che meglio riescano ad individuare ciò che si osserva (consapevoli che non è la realtà) e a fornirci informazioni sull’orientamento delle azioni e sulle tendenze della realtà.

Alla base di una buona mappatura ci sarà dunque quella che Clifford Geertz definisce “descrizione densa” (thick description), una descrizione che procede per formulazioni teoriche orientate sul punto di vista degli attori, sul contesto dell’azione e non solo attenta ad una registrazione tassonomica di quell’azione (descrizione esigua)[30]. Una descrizione, dunque, capace di cogliere e poi rendere “[…] la differenza tra un tic ed un ammiccamento, che per quanto non fotografabile, è grande, come sa chiunque sia abbastanza sfortunato da aver scambiato l’uno per l’altro.”. [31]

In questo modo il ricercatore, attraverso un’indagine etnografica, potrà costruire degli indicatori cultorologici (attraverso l’uso di dati secondari- statistici e di dati qualitativi) in grado di rilevare la dinamica delle azioni, il loro orientamento e trend di mutamento, che sarà poi punto di partenza, ma anche di arrivo dell’attività di progettazione. Le fasi della ricerca sono infatti immanenti e si susseguono  in un processo ricorsivo che fa della ricerca/progettazione un percorso continuo di apprendimento.[32]

 

Entriamo allora nell’ulteriore questione che si trova ad affrontare chi fa progettazione sociale: ogni epistemologia è sempre personale, per tornare a Bateson, e la ricerca/progettazione non può prescindere dalla presenza di una gerarchia di valori che rende impossibile la neutralità ed inevitabile il pregiudizio.

Dunque non è insito solamente il rischio che la gestione del territorio sia in mano alle scelte di chi governa una città, ma anche che il processo conoscitivo, di per sé partecipativo, veicoli la visione soggettiva della realtà del ricercatore/progettatore, che renda egemone la mappatura proposta.

Fare progettazione ha sempre una valenza etica, nel senso che ha sempre a che fare, come presupposto e come obiettivo, con la distribuzione dei valori in una società. Fare progettazione sociale, poi, come già accennato, ha l’ulteriore compito di ridistribuire questi valori affinché si riduca il rischio di esclusione e di marginalità in quella società, affinché l’accesso alle risorse di un territorio e ai diritti sia equamente distribuito e le persone riacquistino la capacità di agire sul contesto in cui vivono.

Negli ultimi anni la progettazione partecipata viene generalmente considerata la via da seguire per scongiungere i rischi di costruire mappe egemoni, il modo in cui generare percorsi di democrazia “dal basso” e riattivare sentimenti di appartenenza a una comunità e a un territorio. La legge 328/00, e prima la legge 285/97, sono i principali strumenti normativi ideati proprio per capovolgere le dinamiche di Governance in funzione di una sussidiarietà orizzontale, capace di delegare la gestione del territorio attraverso la compartecipazione di più soggetti.

In particolare, si è cominciato ad usare tecniche di progettazione partecipata in relazione alla progettazione sociale (ad es. con la costruzione dei Piani di Zona), dove il coinvolgimento dei cittadini/utenti diventa innanzitutto valorizzazione del loro ruolo di attori di cambiamento e promotori di sviluppo di comunità.

In tal senso la progettazione partecipata diventa processo educativo, in cui tutti gli attori prendono, e sono parte, di un mutamento reciproco; suppone e genera un approccio interculturale, infatti, capace di cogliere la dinamicità del contesto e delle relazioni, di coltivare una prospettiva critica e dialogica, mettendola in pratica nella trasformazione della realtà. Ecco allora che la conoscenza diventa azione e torna ancora conoscenza in un continuum ricorsivo proprio di ogni processo di apprendimento.

Nella pratica e nelle realtà territoriali, però, la funzionalità di questo strumento si scontra con notevoli difficoltà e paradossi, di cui prima, in relazione al Tavolo Immigrazione, si è dato qualche accenno e che la presente ricerca si propone di indagare.

Attorno a un tavolo di progettazione si siederanno infatti persone e realtà portatrici di interessi specifici, più o meno forti: la pubblica amministrazione e le Istituzioni, la grande o piccola Associazione, il singolo cittadino, ed il rischio che l’effettiva partecipazione di tutti sia compromessa, sminuita o, ancor peggio, strumentalizzata è reale.

Fare progettazione partecipata significa fare un lavoro molto complesso di contrattazione e il progettatore, nel ruolo di mediatore ed animatore, non dovrà solamente suscitare la condivisione di informazioni, esigenze e percezioni tra gli attori interessati e coinvolti, ma condividere innanzitutto con loro la mappa, la visione del territorio e dei bisogni di chi lo abita.

CAPITOLO 2 -  Analisi del Contesto

2.1 Città nella Città

 

Il X° (ex XIII) Municipio di Roma è l’unico affacciato sul mare con circa 14 chilometri di arenile. Il X° municipio è composto dai seguenti quartieri: Lido di Ostia Ponente, Lido di Ostia Levante e Lido di Castel Fusano; e dalle seguenti zone: Tor de’ Cenci, Castel Porziano, Castel Fusano, Mezzocammino, Acilia Nord, Acilia Sud, Casal Palocco e Ostia Antica. Il suo relativo isolamento e le caratteristiche dei suoi tessuti residenziali hanno portato in passato il Municipio ai primi posti nella classifica dei territori  con maggior numero di abusi edilizi. Una grande porzione della superficie municipale, che misura 15.064 ettari, è costituita dalla Riserva del Litorale (Parco del Litorale romano e Parco urbano Pineta di Castelfusaro) ed ospita numerose testimonianze storico – archeologiche, prima fra tutte quella del complesso di Ostia Antica. Nelle aree edificate, quasi tutte nella parte interna del territorio, vivono oltre 226.000 persone, con una densità di 15 abitanti per ettaro.

La popolazione del X Municipio si può definire una popolazione in media più giovane rispetto all’intero Comune di Roma; anche se l’incidenza della popolazione con meno di 15 anni è simile a quella romana, gli anziani con età di oltre 65 anni sono una percentuale nettamente inferiore rispetto a quella comunale.

Il numero di anziani per bambino è tra i più bassi di Roma con un indice di dipendenza economica al di sotto della media romana. Tale quadro pone il municipio 10 come un’anomalia romana forse dovuta non solo al boom demografico cominciato alla fine degli anni novanta ma anche al suo decentramento geografico. Il boom demografico è dovuto, sia alla fascia di popolazione in età fertile che al considerevole sviluppo urbanistico che ha visto il territorio interessato a nuovi insediamenti abitativi. Si tratta pertanto di un municipio giovane che tra l’altro è per popolazione assoluta uno dei più grandi.

Il tasso di crescita della popolazione nel municipio 10 dal 1997 al 2010 è del 121,42 a fronte di quello di Roma nello stesso arco temporale che è di 102,51.

L’incidenza dei residenti di nazionalità straniera, pari al 10% del totale è inferiore alla media dei Municipi di Roma: la comunità romena costituisce circa un terzo del totale degli immigrati.

La popolazione residente per paese di provenienza nel X Municipio di Roma, riassunta nella tabella in appendice al presente paragrafo, mostra la distribuzione di provenienza in termini assoluti e percentuali.

L’incremento costante della popolazione residente, pari al 6,5% del totale romano, e, di conseguenza, l’incremento delle zone urbanizzate, pongono tuttavia tale Municipio di fronte ad un bivio: trasformarsi progressivamente in una periferia più o meno attrezzata o, peggio, in un territorio-dormitorio oppure cogliere le opportunità connesse a tale dinamismo. La “natura” del territorio, il suo essere straordinariamente ricco dal punto di vista sia storico che naturalistico, gioca con tutta evidenza a favore di un equilibrato governo delle dinamiche urbane purché si tengano in considerazione alcuni aspetti:

• nonostante le ricchezze del territorio, la struttura economico-produttiva è costituita da dipendenti, nella maggioranza dei casi addetti nel settore dei servizi (l’81% degli occupati);

• essere un’appendice di Roma presenta allo stesso tempo vantaggi e svantaggi. Vantaggi, perché potrebbe essere parte del flusso turistico che annualmente insiste su Roma; svantaggi perché, specie nel periodo estivo, le zone del litorale divengono luoghi di un turismo “mordi e fuggi” che proviene dalla capitale e che turba l’equilibrio urbanistico della zona, trasformata in un enorme parcheggio a cielo aperto.

L’espansione di Roma verso il Mare è stato un disegno urbanistico che ha attraversato integralmente il secolo appena passato – anche a dispetto dei tentativi di diversificare le direzioni di sviluppo dell’espansione urbana – e che oggi parte dai quartieri di edilizia economica e popolare realizzati a partire dagli anni Settanta intorno al quartiere dell’EUR, baluardo dell’utopia fascista, e raggiunge il litorale.

La periferia dispersa a Sud di Roma si sviluppa lungo le due direttrici viarie, Ostiense e Colombo, e si può considerare un caso sostanzialmente unico: compresa tra i confini naturali del Tevere, della Pineta di Castel Fusano e della Tenuta di Castel Porziano, limiti naturali difficilmente valicabili, questo “satellite” abitato comprende zone come Ostia Antica, Acilia, Dragona, Casal Palocco, Infernetto. Negli ultimi cinquant’anni è arrivata a contare oltre 100.000 abitanti in un’area cinque volte più grande di quella in cui attualmente si sviluppa la città di Ostia Lido – che però conta poco meno di 100.000 abitanti – con una densità abitativa che non supera i 25 abitanti per ettaro.

È una periferia eterogenea di matrice prevalentemente illegale che unisce la sostanziale assenza di spazi pubblici di relazione, di luoghi centrali, a una provvisorietà che ne accentua il carattere di periferia.

Più che una parte di città, questa sembra essere una “marmellata edilizia” dove si viene per dormire. E dove coesistono due grandi famiglie di periferie: quelle “spontanee” e quelle “pianificate”, le prime nate sulla spinta di diverse ondate di “emergenze” abitative, le seconde quasi tutte in attuazione del PRG del 1962.

L’origine di questa periferia si può far risalire all’immediato Dopoguerra. Lungo la via Ostiense, l’autostrada “Via del Mare” e la ferrovia Roma Lido (1924), che andavano a collegare Roma al Lido di Ostia, avevano già visto la luce l’espansione residenziale di Ostia Antica (con la costruzione dei villini della cooperativa edilizia dei Braccianti Ravennati), la borgata di Acilia[33] (1928).

Alla fine degli anni Cinquanta nasce il Comprensorio verde di Casal Palocco (1959), un nuovo quartiere residenziale che si richiamava alla città giardino di matrice anglosassone, realizzato lungo la via Colombo, completata appositamente nella seconda metà degli anni Cinquanta.

Immagine del Pontile di Ostia

 

 

2.2 Analisi dei dati secondari

2.2.1.  Reti economiche

 

In prima battuta, si può affermare che l’imprenditoria[34] dei cittadini stranieri in Italia, anche nel 2011[35], ha continuato a crescere notevolmente rappresentando una sorta di ammortizzatore sociale. L’espansione dell’imprenditoria straniera si contrappone infatti alla diminuzione delle imprese autoctone e mitiga così l’erosione complessiva del tessuto imprenditoriale del nostro paese.

“…[36] l’attivismo imprenditoriale degli immigrati è in grado di raggiungere risultati economici significativi anche in mercati concorrenziali, grazie al supporto delle reti etniche e di un capitale culturale legato al paese di origine..”.

Secondo i dati del Centro Studi della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA) si segnala che a fine 2011 gli imprenditori stranieri, seconda l’accezione specificata in precedenza, hanno superato per la prima volta le 400 mila unità (440.145). In questo modo, l’imprenditoria straniera in Italia ha registrato un aumento dell’ 8,3 rispetto al 2010 e del 48,7 rispetto al 2005. Il peso dell’imprenditoria straniera in Italia ha raggiunto a fine 2011 il 9,1%.

[37]Il rischio insito al significato dato al termine imprenditori stranieri ha fatto sì che la CNA producesse dei dati relativi ai soli titolari d’impresa che esaminiamo nelle tabelle che seguono.

Dati ancora più interessanti, relativi al primo semestre 2011, sono quelli esposti nella tabella n. 3 relative agli imprenditori stranieri nelle prime cinque province italiane per importanza. La tabella mostra con estrema chiarezza come la provincia di Roma è la prima in Italia per imprenditori stranieri in valore assoluto e mostra altresì l’incremento del 71,2 % avutosi nel periodo 2006 – 2011.

La tabella n. 4 mostra le prime tre nazionalità di provenienza dei titolari e soci di imprese ovvero Bangladesh, Romania, Cina. Nel 2011 si assiste al sorpasso del Bangladesh ai danni della Romania in un contesto generale che vede aumentare del 9.3 percento nel 2011 il numero di titolari e soci di imprese rispetto all’anno precedente.

Uno studio della Fondazione Leone Moressa[38] su dati della Banca d’Italia mostra (vedi tabella 5) come il reddito di una famiglia straniera ammonta mediamente a 18.674 euro, quasi il 45% in meno rispetto ad una famiglia italiana. D’altro lato, il consumo medio annuo è di € 18.038, quando invece una famiglia di origine spende all’anno 25.608 euro (il 30% in meno).

Nel 2010 sono partiti dall’Italia 6,3 miliardi di rimesse di cui il 40% è stato inviato dal centro della penisola. La propensione all’invio si concentra soprattutto nella Regione Lazio, che con oltre 1.8 miliardi di euro, pari al 27,9% delle rimesse totali, è il principale punto di partenza della nazione.

All’interno della Regione Lazio è il capoluogo, con il 95,7%, a concentrare su di sé l’assoluta maggioranza. Per ciò che concerne la composizione per destinazione delle rimesse; la Romania (6,0 % del totale) e il Bangladesh (3,0 del totale) sono, rispettivamente, terza e quarta nella graduatoria, dominata dalla Repubblica Popolare della Cina (50,6%), dei paesi destinatari delle rimesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.2.2. Diritto alla salute

 

Conoscere e monitorare l’utilizzo dei servizi socio – sanitari da parte della popolazione immigrata rappresenta da diversi anni una priorità per il sistema sanitario, a livello nazionale e quindi anche locale: l’accesso ai servizi offre elementi preziosi di conoscenza non solo e non tanto per descrivere lo stato di salute e i carichi di cura degli immigrati, ma proprio per sviluppare le buone politiche, aderenti ai reali bisogni delle persone e orientate alle principali criticità emergenti.

Si è scelto pertanto di ricorrere ai dati amministrativi derivanti dai sistemi informativi sanitari correnti per arricchire la conoscenza del fenomeno migratorio nel X° municipio con particolare riferimento a coloro che sfuggono alle statistiche ufficiali degli istituti di ricerca pubblica e/o privati.

In prima battuta dai dati delle persone che hanno frequentato nel 2012 i consultori di Acilia e Ostia (vedi tabelle n. 1-2) si desume una popolazione, rispettivamente, di 719 e 564 immigrati per un totale complessivo di 1.283 migranti e con una prevalenza grandissima di romeni che rappresentano, rispettivamente, il 47% ed il 50%.

Si rileva, altresì, che non risultano STP[39] codificati nei consultori mentre vi sono 33 persone codificate con ENI[40], a testimonianza della bassa presenza di immigrati “irregolari” nei consultori.

In seconda battuta, si analizzano i dati forniti dagli ambulatori STP/ENI nell’anno 2012 relativi al distretto D2 corrispondente al territorio del X° Municipio di Roma e siti in Paolini e S.Agostino ambedue ad Ostia. Nel 2012 sono stati rilasciati 342 tesserini STP/ENI rispetto ai 354 dell’anno precedente.

La tabella n. 3 mostra invece le tipologie di intervento sanitario richiesto che vede la preponderanza di visite specialistiche, prescrizioni diagnostiche e farmacologiche rispetto a ricoveri ed interventi medici.

La tabella n. 4 mostra invece la composizione per età e sesso dei possessori dei tesserini STP/ENI con la preponderanza della fascia d’età 16-35 e dei migranti di genere maschile.

 

 

 

2.2.3. Reti lavorative

 

L’ultima nota semestrale sull’andamento del mercato degli immigrati del 28/03/2013 conferma che nella Regione Lazio, seppure in un contesto di crisi in cui aumentano il numero di stranieri in cerca di occupazione e si incrementa negli ultimi quattro anni il numero di stranieri inattivi, è aumentato il numero di occupati stranieri rispetto agli italiani anche se con una dinamica rallentata rispetto all’ultimo quinquennio (tabella n. 1).

Secondo i dati forniti (tabella n. 2) dalla Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere – Servizio Immigrazione sono stati rilasciati nella provincia di Roma al 31/12/2011 circa 257.487 permessi di soggiorno. La motivazione del rilascio del permesso di soggiorno permette di avere preziose informazioni. Infatti 132.102 permessi di soggiorno sono rilasciati per motivi di lavoro rappresentando più della metà dei permessi complessivi a cui andrebbero aggiunti i 2.492 rilasciati per varie motivazioni riconducibili alla ricerca di un lavoro. I permessi di soggiorno per attività commerciali e/o lavoro autonomo rappresentano il 6.4 percento del totale.

Si segnala che nel corso del 2012 in provincia di Roma sono state presentate 13.815 di emersione di cui al decreto 109/2012 di cui 12.164 per lavoro domestico e 1.651 per lavoro subordinato. Si sottolinea, inoltre, che le prime tre nazionalità in Italia per numero di domande di emersione sono, in ordine, Bangladesh (15.770), Marocco (15.600) e India (13.286).

Un dato significativo emergente sempre dal report sulle domande di emersione del lavoro irregolare del 2012 è rappresentato dal fatto che su 134.576 moduli complessivamente compilati ed inviati in tutto il territorio nazionale ben 51.906 di essi siano stati compilati tramite associazioni e patronati, 392 attraverso i comuni, 4.107 da consulenti del lavoro e 78.081 da privati. Nel 2009 su 294.744 domande inviate il 46,5% (137.160) è stato inviato tramite associazioni e patronati.

Nel 2009 in provincia di Roma hanno presentato domanda di emersione 32.034 migranti tra colf e badanti rappresentando il 10,87% del dato nazionale

Il tasso di occupazione nella Provincia di Roma  (vedi tabella 3 in appendice al presente paragrafo), coerentemente negli ultimi anni, mostra per gli stranieri un risultato migliore sia del dato laziale che nazionale come risulta evidente. Circa il 57% di tutti i residenti stranieri nella provincia è occupato e costituisce una quota pari al 13,8% dell’occupazione complessiva. Inoltre fra il 2009 e il 2010 l’incremento di lavoratori stranieri è stato a Roma di circa 38.000 occupati (pari al + 19,5%) mentre i lavoratori italiani, nello stesso periodo considerato, è diminuita del 2%.

Dall’osservazione della distribuzione settoriale delle posizioni lavorative straniere e di quelle degli italiani nella provincia di Roma, si rileva che sussistono differenze profonde tra microsettori. Nell’area romana il 71,5% degli occupati di origine straniera trova impiego nei servizi o nel commercio (tabella n. 4).

Nella provincia di Roma (vedi tabella n. 5) gli occupati stranieri svolgono professioni a bassa qualificazione per il 74,7% e le stesse mansioni coinvolgono solo il 20,8% dei lavoratori italiani. Una distanza così marcata continua a confermare che il mercato del lavoro offre ai cittadini stranieri un segmento specifico e ristretto prescindendo anche dalla qualificazione e dall’istruzione posseduta.

Gli effetti negativi della crisi economica continuano ad esercitare un’influenza in termini di aumento delle persone in cerca di lavoro anche fra i cittadini stranieri residenti nel nostro paese e nell’area romana (vedi tab. 6).

Considerando, inoltre, l’incidenza dei lavori atipici (tempo determinato e collaborazioni) nella provincia di Roma è evidente che le differenze appaiono sensibilmente diverse fra i lavoratori stranieri e i lavoratori di origine italiana con una prevalenze di questi ultimi (vedi tabella n. 7).

Si può aggiungere inoltre che nell’area romana si evidenzia una quota non trascurabile (vedi tabella 8) superiore alla media nazionale di lavoratori stranieri in possesso di un diploma superiore o di una laurea.

Infine, uno sguardo di insieme (tabella 9) sugli occupati nati all’estero per i principali paesi di nascita da una dimensione complessiva dell’occupazione sia in valori assoluti che percentuali in tutti i microsettori di attività economica.

 

 

 

 

CONCLUSIONI

 

Il decimo (ex XIII°) è il Municipio del litorale del Comune di Roma, la sua formazione edilizia l’ha suddiviso in un due parti a loro volta suddivise in diversi nuclei edilizi. La prima è interna ed immersa nell’agro romano, la seconda è un grosso centro urbano costiero come Ostia, sviluppatosi intensamente a partire dal ventennio, e dai primi tentativi di creare le infrastrutture per collegarla al centro di Roma. Il collegamento con il centro della città è assicurato dalla ferrovia Roma-Lido, dalla Cristoforo Colombo, dalla via Ostiense e dalla via del Mare. Sia la Roma-Lido che la via del Mare furono progettate e parzialmente realizzate già all’inizio del secolo scorso. Questo consentì la crescita di Ostia in parte come suburbio marino della popolazione della Capitale, in parte come sfogo per una parte della popolazione rurale da inurbare, proveniente da un’immigrazione che convergeva a tassi non più raggiunti su Roma (sia da Sud, sia dal Nord-Est del paese).

L’autocostruzione, di cui i territori a ridosso del raccordo sono stati oggetto convivono oggi con i nuclei di edilizia programmata, che rappresentano il motore dell’espansione demografica del Municipio, e che sin dagli anni ’70 hanno visto interventi volti a localizzare in quelle aree edilizia di qualità (e conseguentemente una popolazione socialmente di ceto medio). Di particolare pregio è il quartiere di Casal Palocco realizzato negli anni ‘70. I nuclei abusivi, (le così dette “zone O”) sono stati già oggetto a partire dagli anni ’80 di alcuni interventi di riqualificazione, mentre più recentemente due sono stati gli interventi di riqualificazione previsti: quello di Ostia ponente e quello di Acilia Dragona.

Il Municipio X° registra più di 200.000 residenti all’anagrafe ed è un Municipio in crescita ma che negli ultimi anni sembra rallentare il ritmo della sua crescita anche se è sicuramente destinata a durare nei prossimi anni.

La popolazione straniera è meno numerosa degli altri municipi romani attestandosi intorno al 10% ed è più maschile. Gli immigrati romeni rappresentano di gran lunga la prima etnia presente seguita con grande svantaggio dai polacchi e dagli egiziani.

Non ci sono, infine, dati, eccezion fatti per quelli sanitari, specifici per il municipio X in ordine alle reti economiche e lavorative tali da poter analizzare compiutamente il contesto territoriale del municipio e si è fatto, largamente, ricorso a dati regionali e provinciali.

 

 

 

 

 

 

 

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[1] Tentori T., Antropologia delle società complesse, Armando Editore, Roma, 1999, pag.56-57

[2] Crapanzano V., Thuami, pag.15.

[3] Tentori T., Antropologia delle società complesse, pag. 18

[4] Vattimo G., La società trasparente, Garzanti Libri, Milano, 2011

[5] Marcus G., Fischer J., Antropologia come critica culturale, Meltemi Editore, 1998

[6] Sapir E., “Spurius and genuine culture” in Selected Writings of Edward Sapir in Language, Culture and Personality, University of California Press, 1985 

[7] Bauman Z., La solitudine del cittadino globale, Milano, Feltrinelli, 2000, pag. 126

[8] Bauman Z., Voglia di comunità, Roma, Laterza, 2001, pag.95

[9] Bauman Z., Lavoro, consumismo e nuove povertà, Città Aperta edizioni, 2004

[10] Marcus G., Fischer J., Antropologia come critica culturale, Meltemi Editore, 1998, p.204

[11]  Giddens A., Ulrich B., Modernizzazione riflessiva, Asterios, 1999, pag.136

[12]  Touraine A., Libertà, uguaglianza, diversità. Si può vivere insieme?, Milano, Il Saggiatore, 1998, Pag.153

[13] Touraine A., Libertà, uguaglianza, diversità. Si può vivere insieme?, Milano, Il Saggiatore, 1998, Pag.17

[14] Pollini G., Scidà G., Sociologia delle migrazioni e della società multietnica, Roma, Franco Angeli, 2002, Pag. 62

[15] Walter Benjamin, Giorgio Agamben (a cura di), Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti appunti e materiali 1927-1940, traduzione di Gianni Carchia, Massimo De Carolis, Antonella Moscati, Francesco Porzio, Giuseppe Russo, Renato Solmi, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1986.

 

[16] Kevin Lynch, “L'immagine della città”, 2006, Marsilio Editore

[17]  Farmer, Paul (2006: 265-300 e VII) “Sofferenza e violenza strutturale. Diritti sociali ed economici nell’era globale”, in Antropologia Medica, a cura di Ivo Quaranta, Raffaello Cortina Editore Milano

[18] Bauman Z., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone (op. orig.: Globalization. The Human Consequences, 1998),  p. 96.

[19] Sayad Abdelmalek, La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze   dell'immigrato, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2002 (La double absence, Paris, Editions du Seuil, 1999)

[20] Ibidem, p.108

[21] Bauman Z., Modernità e ambivalenza, in Featherstone M. (a cura di), Cultura globale, nazionalismo, globalizzazione e modernità (op. orig. : Global culture. Nationalism, Globalization and Modernity, 1990 ), trad. it. Di Mazzi F., SEAM, Milano, 1996, pp. 43-71;

[22] Bauman Z., La società dell’incertezza trad. it. Di Marchisio R. e Neirotti S., Il Mulino, Bologna, 1999. pp-8-9.

[23]  Ibidem, p. 66.

[24] Si distingua il progettatore sociale, nell’accezione che gli stiamo dando, dal “progettista”, da intendersi come colui che tecnicamente scrive un formulario di progetto.

[25] Callari Galli M. Pievani T., Ceruti M., Pensare la diversità. Per un’educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma, 1998

[26] Tentori, T. Il rischio della certezza, Studium, Roma, 1987

[27]  Cfr. Bateson, G., Verso un’ecologia della mente (ed.or 1977)  e Mente e natura (ed.or. 1979).

 

[28] Bateson, G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2001, pg, 492

[29] Bateson, G. Mente e Natura, Adelphi, Milano, 1999, pg.42

[30] Geertz, C., (ed.or 1973) Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1988.

[31] Ivi, pg. 12

[32] Lezione del Prof. Pistolese, “Teoria della ricerca azione”. VIII° Modulo, 7 aprile 2013

[33] Luciano Villani, Le Borgate del Fascismo. Storia urbana, politica e sociale della Periferia Romana. L’edizioni.

[34] Per imprenditori stranieri si intendono i soli titolari  e soci nati all’estero appartenenti a sedi o unità locali attive presso le Camere di Commercio

[35] Ultimi dati disponibili

[36] Dossier Statistico Immigrazione 2012, pag. 265

[37] Ciò comporta il rischio di conteggiare più volte soggetti che ricoprono contemporaneamente più di una carica, ma certamente se non da la fotografia dello stock complessivo in maniera certa consegna all’esterno una fotografia, in termini di flusso, che dà l’idea della crescita dimensionale del fenomeno.

[38] Il comportamento economico delle famiglie straniere, 2010.

[39] La definizione si riferisce ai cittadini stranieri non comunitari presenti in condizioni irregolare, ai quali l’art. 35 del d.lgs. 286/98 ha assicurato l’accesso alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali

[40] Codice E.N.I.: europeo non iscritto. È rilasciato ai cittadini dell’Unione Europea non iscrivibili al Servizio Sanitario Nazionale.


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